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Di Maio |
Non è strano e non deve sembrare offensivo che il neo leader del movimento 5 stelle Di Maio possa affrontare il tema atavico del ruolo dei sindacati nell'organizzazione del mondo del lavoro e nella dinamica delle relazioni tra le parti sociali. Lo aveva fatto con veemenza anche il capo del movimento Beppe Grillo alcuni anni fa, quello che risulta fastidioso - anche a chi potrebbe essere comunque per vari aspetti vicino alle posizioni espresse - è la tracotanza del suo intervento e l'evidente scarsa conoscenza dell'argomento stesso.
Affermare che i sindacati “O si autoriformano oppure quando saremo al governo ci pensiamo noi”, equivale a dissotterrare l'ascia di guerra e a riaprire lo scontro con i corpi sociali intermedi; uno scontro che non possiamo permetterci in questo momento, replicando e cavalcando una odiosa quanto sterile "guerra generazionale"; la stessa guerra generazionale che il buon Renzi ha cavalcato in questi ultimi anni e che è stato alla base del suo messaggio comunicativo, di molti atti governativi ed anche alla base della conduzione del partito democratico.
Ciò non significa che le questioni che Di Maio ha sollevato non siano meritevoli di ulteriore approfondimento, ma questo con le dovute conoscenze e con il rispetto che si deve non ai singoli soggetti sindacalisti, ma al movimento sindacale dei lavoratori nel suo insieme, per quello che ha fatto e per il ruolo che ancora può avere nel futuro. Una riflessiona scevra da condizionamenti di parte che deve ripartire anche rielaborando il principio della rappresentatività nella contrattazione, spesso troppo sbilanciata in favore delle grandi organizzazioni, che limita la sempre più emergente esigenza di una maggiore contrattazione di "prossimità" e di una rappresentanza meno strutturata ma più efficace delle lavoratrici e dei lavoratori nei singoli posti di lavoro.
Una rappresentanza snella e aderente alle esigenze dei nuovi modelli di relazione industriali che non può non tenere conto della necessità di superare almeno in parte e per determinate situazioni il principio generale della validità "erga omnes" dei contratti collettivi sottoscritti solo da soggetti definiti rappresentativi, verso una sorta di apertura a più generalizzate politiche di welfare contrattuale a livello aziendale, che possano esaltare il ruolo di nuove professionalità e nuovi giovani professionisti che si affacciano all'orizzonte del mondo del lavoro, accessibili a rappresentanze sì meno strutturate e meno tutelate dagli accordi quadro, ma per questo più vicine a tali categorie di lavoratori.
Insomma, un movimento libero di rappresentanza di lavoratori che interviene nella trattativa di prossimità non con l'inaccettabile spirito consociativo di tutela dei pochi, ma con l'intento di prefigurare delle relazioni sane rivolte all'interesse di tutti i lavoratori e dell'intera collettività.
Luciano Cetrullo
(fonte foto: ilfattoquotidiano)